Estrarre il talento dalla Gen Z,
ma non solo ...
- Stefano

Sergio Marchionne in una delle sue perle che, per fortuna, sono ancora vive nel web definisce perfettamente cos’è un talento: una persona che sa prendersi dei rischi e che non ha pregiudizi. A questa semplice ma efficace definizione ci sentiamo di aggiungere: la persona che grazie a questo (più rischi meno bias) crea eccellenza e innovazione nell’ordinario e nello straordinario. E lo fa perché vede oltre e vede diverso.
Ma … niente di nuovo, definizioni a prova di buon senso che immagino nessuno possa contrastare o trovare sbagliate.
La difficoltà però c’è e la si trova, come sempre passando alla pratica: come facciamo a permettere ai potenziali talenti di diventare talenti visibili concreti e ad alto valore aggiunto? Assumersi dei rischi, togliersi i pregiudizi che vengono dall’ambiente e spesso sono parte irrinunciabile della cultura dell’organizzazione non è facile, è necessario creare spazi di libertà che premiano il coraggio e disincentivano gli automatismi.
Anche la maggior parte dei programmi formativi e delle riflessioni aziendali sono affette da una forma di pregiudizio visto che si focalizza sempre sull’aggiungere. Si mettono in aula, attorno a un tavolo i managers, i leaders per trasmettere loro nuovi modelli di leadership, che via via le moderne teorie propongono, nuovi comportamenti e nuove competenze.
Siamo sicuri che questo funzioni? È sufficiente leggere la storia e la filosofia dei grandi leader del passato, per comprendere che nulla cambia quando si parla di leadership e talento.
Per questo cambiamo schema, introduciamo una nuova (vecchia) ricetta, togliere, togliere, togliere e ancora togliere.
I managers, quando si parla di talenti, dovrebbero seguire alla lettera quello che diceva Coco Chanel: “prima di uscire, guardati allo specchio e levati qualcosa”.
Un ambiente fertile è un ambiente vuoto libero con un perimetro chiaro ma con spazi da riempire, non un tetris fatto di incastri di modelli.
Libertà di fare e provare non paura, istruzioni restrittive, voglia di emergere (a discapito di altri), tradizione che zavorra, rumore che disturba, pregiudizi che bloccano, ego imponenti che prevaricano.
In particolare devono essere tolte tutte le condizioni legate ai comportamenti e alle credenze dei singoli managers che si riflettono immediatamente nell’ambiente e diventano resistenze elementi bloccanti per gli altri.
Il talento non è solo chi ha il coraggio di rompere tutto e farsi strada sulle inevitabili macerie, le nostre organizzazioni non sono fatte così, non sono attrezzate per vivere nel conflitto e nella lotta, per fortuna aggiungiamo noi. Esperimenti in questo senso fatti in passato, in aziende top 500 sono falliti a suo tempo e fallirebbero sicuramente oggi nel contesto sociale attuale.
E le nuove gen Z non amano rompere tutto, nessuno gliel’ha insegnato, anzi hanno appreso proprio il contrario.
Per estrarre i talenti i managers devono lavorare su loro stessi con programmi intensi di coaching individuali che li possano mettere in condizione di conoscersi e abbandonare le loro coperte di linus che nei fatti si traducono spesso in ostacoli per gli altri. Secondo il nostro modello di coaching, con radici in bioenergetica gestalt e fondato sulla centralità delle emozioni e delle energie, più si prende consapevolezza di come si è più si acquisisce l’accountability su come cambiare e cosa fare.
Ma se questo è il compito di chi abilita, i managers qual è quello dei talenti, che cosa devono fare per emergere?
Vi sembrerà strano, ma la risposta è: niente. Devono semplicemente sentire la fiducia attorno a sè, il resto lo sanno già. La Gen Z è stata allenata ad essere talento, e per questo dobbiamo ringraziare le generazioni che l’hanno preceduta e hanno creato l’ambiente fertile per farla crescere in questo modo.
È allenata a vivere con le proprie emozioni, ha la confidenza con questa parte. È allenata a cercare sempre il meglio, nel bene o nel male i loro genitori li hanno spinti a fare sempre di più, così come è allenata a vedere le cose in modo diverso, hanno avuto la fortuna di vivere in un mondo che cambia radicalmente ogni 5 anni, se va bene.
È allenata a prendersi dei rischi se l’ambiente intorno glielo consente, e l’ambiente lo facciamo noi che siamo arrivati prima, ma al tempo stesso se sente un ambiente ostile si chiude e a volte lascia, perché sempre noi le abbiamo detto che si può aspirare a un mondo migliore e che non è necessario accettare quello che non va.
In conclusione:
Per estrarre i talenti della Gen Z è necessario lavorare intensamente e in profondità con dei coaching individuali sui diversi leaders che caratterizzano con la loro presenza e comportamenti l’ambiente delle organizzazioni oggi. Molte aziende di eccellenza lo fanno e vogliono essere riconosciute come “coaching companies“. Le top ten esistono e per loro dichiarazione ammettono che non investono più sui sistemi, quello che c’è è più che sufficiente, investono solo sulle persone.
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